Quando non si resiste al plagio- l’Unità 23.07.01

Quando non si resiste al plagio- l’Unità 23.07.01

Luglio 23, 2001 2001-2010 0

Prendendo ad oggetto la ormai nota vicenda dell’affiliazione del cattolico arcivescovo Milingo alla setta del rev. Moon (Federazione dell’Unificazione Mondiale), Maria Serena Palieri su l’Unità del 5.7.2001 scrive che argomento classico ed opinabile, puntualmente addotto nella lotta alle «sette», è il plagio mentale. Ha davvero ragione la Palieri? Da un punto di vista giuridico, il nostro ordinamento non contempla più la fattispecie criminosa del plagio di determinatezza dell’art. 603 del c.p. in data 18.6.1981.
L’abrogazione del citato articolo, non si finirà mai di ricordarlo e sottolinearlo a sufficienza non voleva certo significare l’insussistenza del plagio e l’annullamento delle problematiche inerenti ai processi di condizionamento psicologico che si realizzano, anche e soprattutto, nel tipo di relazione che intercorre tra adepto e leader carismatico: tant’è che la Corte Costituzionale ne raccomandò la riformulazione in termini più precisi. La manipolazione mentale è pertanto determinabile ed afferrabile giuridicamente ma la grave e penosa lentezza politica è stata causa di una voragine normativa ed ha comportato, tra l’altro, la mancanza di un riconoscimento esplicito dell’esistenza del plagio mentale ad opera di singoli e/o gruppi settari, così come ha finito, seppur indirettamente, per condonare la sistematica violazione del diritto fondamentale all’integrità psico-fisica dell’individuo. Perché in ambito psichiatrico, perlomeno negli Stati Uniti, le dinamiche plagiatarie ed i relativi devastanti effetti sulla mente umana, sono ormai da diversi decenni, indagini di studi e ricerche accurate, tanto che nella più importante letteratura diagnostica (DSM IV), è attualmente inclusa una categoria che menziona espressamente le vittime dei culti; categoria classificata come «Disturbo Dissociativo Atipico 300.15», nella cui definizione si legge: «Esempi tipici comprendono stati simili alla trance, estraneamento dalla realtà accompagnato da depersonalizzazione e stati di dissociazione prolungata che possono insorgere in individui che siano stati sottoposti a periodi di prolungata e intensa persuasione coercitiva (lavaggio del cervello, riforma del pensiero e indottrinamento, mentre erano «prigionieri» di gruppi terroristici o cultistici).
Sul fronte psichiatrico è tuttavia innegabile l’esistenza di controversie, pareri discordi e differenze metodologiche nella ricerca, così come si può rilevare una certa reticenza a voler procedere ad una valutazione psicopatologica delle dinamiche manipolatorie ma sostanzialmente ciò è imputabile al timore di una violazione del valore della libertà religiosa. Resta il fatto che solo nel nostro paese, sono centinaia di migliaia gli individui che subiscono forme non etiche di controllo mentale checché ne dicano, minimizzando gravità e proporzioni del problema alcuni esimi accademico o periti di parte e risaputi apologeti delle sette). Soggetti ai quali non è per ora assicurata quella tutela diretta che il nostro ordinamento si propone. Abbandonare vittime nell’indifferenza di tutto un sistema e di una follia indotta
e sovente senza ritorno.
Sonia Guinelli
referente nazionale del Comitato Familiari delle Vittime delle Sette

Sono solo parzialmente d’accordo con le cose dette nella lettera. Riguardo al plagio, in particolare, penso che quella difficilmente sostenibile oggi sia l’idea di un reato distinto da quello di circonvenzione d’incapace. L’idea per cui la sola forza del pensiero di un altro possa ridurre in servitù una persona padrona di sé non trova alcuna conferma nella pratica clinica dello psichiatra.
Quello su cui si deve riflettere, tuttavia, è il dato per cui il concetto di incapacità deve essere inteso in una accezione più vasta di quella usata abitualmente sin qui: tenendo conto del fatto, cioè, per cui le persone che possono trovarsi in una situazione di debolezza particolare nei confronti di un altro non sono necessariamente persone che presentano una particolare debolezza dell’intelligenza o una malattia psichiatrica chiaramente diagnostica. Il contributo maggiore al disturbo da lei collegato al plagio viene infatti dallo sviluppo di situazioni in cui persone che si trovano comunque a vivere una situazione di disagio importante si incontrano con persone che acquistano un potere speciale su di loro utilizzando tecniche, spontanee o apprese, di manipolazione dei loro bisogni.
Un esempio particolarmente interessante di questo tipo di situazione è quello proposto dalle deviazioni cui può andare incontro, in casi per fortuna abbastanza rari, una psicoterapia condotta in un modo scorretto. Il controllo cui le associazioni degli psicoterapeuti sottopongono i loro associati ha permesso di arricchire infatti le indagini eventualmente svolte dal magistrato civile e penale con una ricostituzione particolarmente accurata del processo che si mette in moto, quando, usando in modo più o meno consapevole il transfert che il paziente ha sviluppato su di lui, il terapeuta lo riduce in uno stato di soggezione: sfruttandolo sessualmente o economicamente.
La dipendenza artificiale indotta nel paziente viene messa al servizio, in questo modo, delle tendenze narcisistiche o sadiche del terapeuta determinando una accentuazione progressiva e pericolosa del disagio che lo aveva spinto a chiedere aiuto. Ma proponendo anche uno schema utile a ricostruire i passaggi che scandiscono la costruzione di uno stato di soggezione nel caso dei santoni e delle sette: una ricerca di aiuto, di comprensione e di appoggio che si sviluppa all’interno di una situazione personale e/o familiare sperimentata come fonte di disagio non altrimenti risolvibile e precede l’incontro; l’incontro con una persona percepita e sentita come colui che ti può aiutare salvarti; l’identificazione proiettiva con una persona che attivamente favorisce questa tendenza per bisogni suoi di essere riconosciuta, ammirata, idealizzata o santificata; lo sviluppo, per questa via, di una condizione patologica caratterizzata da una sostanziale incapacità di intendere e di volere liberamente. Sembra a me chiara la possibilità di parlare di quello che accade in queste situazioni in termini di circonvenzione d’incapace. Proponendo l’idea di una incapacità transitoria e reversibile, però, strettamente legata ad una relazione di dipendenza ed allargando così i confini di una definizione altrimenti incompleta.
Vorrei concludere il discorso in modo estremamente chiaro dicendo che gli autori di reati come questi, una volta individuati, vanno fermati comunque, che siano o no in buona fede, che prevalgono cioè in loro quelle tendenze sadiche e quelle paranoiche. Non vi è cura possibile per questo tipo di persone se non si parte dalla sottolineatura ferma del danno che esse provocano negli altri.
Malati assai più dei loro pazienti (gli psicoterapeuti e i curatori o medici scorretti) o dei loro adepti (i santoni) essi non sono in grado, infatti, di chiedere aiuto semplicemente perché non sono in grado di mettere in discussione le idee di grandezza cui i loro comportamenti costantemente si ispirano. Sul fatto che, in tempi di garantismo più o meno esagerato, la macchina giudiziaria si muove con particolare lentezza proprio in questo tipo di situazioni, io sono del tutto d’accordo con lei. Anche se preferirei togliere ai magistrati l’alibi della carenza normativa

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